C'è sovramedicalizzazione anche in ostetricia?
Si parla di sovramedicalizzazione quando sono eseguiti esami, terapie o interventi non necessari o persino nocivi per il paziente. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) stima che una percentuale della spesa sanitaria compresa tra il 20% e il 40% rappresenti uno spreco causato da esami e trattamenti chirurgici e farmacologici largamente diffusi, che non apportano benefici per i pazienti e anzi rischiano di essere dannosi. Un fenomeno a quanto pare sempre più importante che rappresenta un vero e proprio spreco di risorse. Negli Stati Uniti si valuta che l’ammontare delle prestazioni inappropriate rappresentino uno spreco pari ad almeno il 30% della spesa sanitaria. Nel sistema sanitario svizzero (molto simile a quello americano), la cifra si aggirerebbe sui 20 miliardi all’anno, rispetto a una spesa totale di 60 miliardi.
Anche il parto è soggetto a sovramedicalizzazione
L’OMS ricorda da anni che il parto non è una malattia e che gli interventi medici sono richiesti solo in caso di rischi o di complicazioni. Sostiene ad esempio che solo il 10-15% dei cesarei sono giustificati da un’indicazione medica, ma la tendenza è all’aumento ovunque. In Svizzera un bambino su 3 nasce col cesareo. Ma ovviamente non sono tutti necessari visto che ci sono importanti differenze fra paesi, regioni, cantoni, ospedali pubblici e privati o tipo di assicurazione (privata o comune).
In Ticino nel 2013 siamo vicini alla media nazionale (34%), ma nel Giura i cesarei sono rimasti inferiori al 20% e nel canton Zugo superano il 40%. Nelle maternità EOC (Ente Ospedaliero Cantonale) i cesarei sono il 28,6% in media, ma all’ospedale civico di Lugano sono il 36%, mentre all’ospedale San Giovanni di Bellinzona il 21%.
Anche la differenza fra ospedali pubblici e privati è significativa: alla clinica S. Chiara di Locarno i cesarei erano il 42,9% delle nascite e alla clinica S. Anna il 40,7%. In generale i cesarei sono più frequenti in camera privata (43%) che non in camera comune (31%).
Il costo medio della degenza per un cesareo è di ca. CHF 9'900.-- mentre per un parto normale è di ca. CHF 6'200.--. A confronto ricordiamo che un parto a domicilio (visite comprese) costa sui CHF 2'500.-- e un parto in casa nascita ca. CHF 3'100.--. E questi ultimi, confrontati con i parti normali in ospedale, secondo le più recenti evidenze scientifiche sono altrettanto o persino più sicuri.
C’è poi un altro intervento chirurgico che nella maggior parte dei casi è inutile e spesso dannoso: l’episiotomia: l’incisione chirurgica del perineo per allargare il canale del parto: il taglio che da anni l’OMS raccomanda di evitare, se non in casi molto particolari. Nelle maternità EOC nel 2012, i parti vaginali con episiotomia erano il 31%, al S. Anna il 28% e al S. Chiara 47%. La media nazionale è del 24,6%, comunque troppi. In Canada, da quando questo intervento non è più rimunerato separatamente, il numero di episiotomie è precipitato.
Fra gli interventi medici più frequenti, che spesso potrebbero essere evitati e che sono pure sconsigliati dall’OMS, se non in casi particolari, ricordiamo le induzioni/provocazioni del parto, l’uso di ormoni sintetici e di anestetici quando non richiesti, del monitoraggio continuo del battito cardiaco fetale, il taglio precoce del cordone e l’uso inappropriato di forcipe e ventosa. Ci sono poi anche alcuni esami e test in gravidanza considerati superflui e che possono avere un effetto ansiogeno nocivo.
A cosa è dovuta la tendenza alla sovramedicalizazzione?
Sarebbe troppo semplicistico farne una questione di colpa, di incompetenza o di sete di guadagno. In generale esami, interventi e terapie non supportati da prove di efficacia, continuano a essere prescritti per molteplici ragioni: per abitudine, per mancanza di tempo (o interesse) da dedicare agli aggiornamenti sulle evidenze scientifiche e le tecniche più recenti, per soddisfare pressanti richieste dei pazienti, per timore di sequele medico legali, perché spiegare al paziente che esami, medicamenti o interventi non sono necessari richiede più tempo, per interessi economici, perché nei sistemi sanitari e assicurativi viene premiata la quantità delle prestazioni, più della loro qualità e appropriatezza, per lacune nella formazione (ev. seguita in altri paesi), per dimostrare al paziente di avere vaste conoscenze scientifiche o per applicare in modo acritico il concetto del “fare tutto il possibile”.
Nel campo dell’ostetricia la questione è ancora più complessa perché la medicalizzazione del parto, anche quando potrebbe essere fisiologico, è associata alla comprensibile ricerca della massima sicurezza per la mamma e per il bambino. La paura indotta (o inconscia) produce dunque la proposta, e la richiesta, di medicalizzare anche ciò che funzionerebbe meglio rispettando la fisiologia per la quale il corpo della donna e del bambino sono biologicamente programmati. Per questo è fondamentale che medici e genitori siano bene informati e aggiornati sulle condizioni indispensabili per facilitare il parto naturale ovunque avvenga, a casa o in ospedale.
Medici in prima fila contro la sovramedicalizzazione
Gli studi in materia di sovramedicalizzazione sottolineano come, per limitare esami e trattamenti non necessari, che fanno crescere oltre misura i costi e potrebbero anche danneggiare i pazienti, sia fondamentale il ruolo dei medici, dalle cui decisioni si stima dipenda circa l’80% della spesa sanitaria.
Negli ultimi anni si sono sviluppati in tutto il mondo dei movimenti di medici e operatori/trici sanitari/e che si preoccupano particolarmente di evitare interventi e cure che non siano basati sulla certezza della loro efficacia terapeutica. A questo scopo hanno creato degli enti o degli istituti nazionali e internazionali; i più conosciute sono la Cochrane Librery e Pub Med, in grado di stabilire per ogni singolo metodo terapeutico delle basi scientifiche di riferimento mediante una revisione sistematica e critica dei migliori risultati forniti dalle singole ricerche (studi clinici randomizzati e controllati, di coorte, epidemiologici, linee guida, ecc.) disponibili al momento. Si giunge così a un risultato medio prevalente difficilmente contestabile. Questo perché spesso un solo studio sullo stesso argomento potrebbe essere basato su campioni troppo piccoli e giungere a conclusioni divergenti lasciando quindi ampio spazio all’errore. È così nato il concetto di “Evidence-Based Medicine (EBM)”, medicina basata su prove di efficacia, che a livello mondiale ha alimentato vari movimenti e metodi in campo sanitario come “Slow medicine” (cui aderisce anche l’ospedale la Carità di Locarno) con progetti come “Fare di più non significa fare meglio”, e “Choosing wisely”. Ogni associazione di categoria dei medici specialisti è invitata a indicare almeno 5 pratiche inappropriate da evitare.
Per l’ostetricia e la ginecologia, in Italia, si è creata l’Associazione Andria, che aderisce a Slow Medicine. Ha indicato le cinque pratiche da evitare e sul suo sito fornisce documenti utili da consultare per medici e personale sanitario.
In Ticino l’ACSI (Associazione Consumatrici e consumatori della Svizzera Italiana), che difende anche gli interessi dei pazienti, è impegnata con il suo giornale La Borsa della Spesa, in una campagna di informazione dell’Alleanza contro la sovramedicalizzazione. In questo ambito ha anche pubblicato l’articolo “Il parto ancora troppo medicalizzato”.