Testimonianze
BENVENUTA ARIANNA
E’ Natale. Il pranzo è previsto a casa di mia mamma, una cosa semplice – si fa per dire – visto che non sappiamo bene se dovremo scappare in ospedale… Il pancione è ingombrante, ormai mancano solo due giorni al termine, e anche mangiare è diventato un po’ faticoso. Tieni tutto lo spazio disponibile! Sto bene e attendo il momento fatidico con grande impazienza. Sento che ci siamo, sento che nascerai domani.
Il pomeriggio procede senza imprevisti, poi verso le quattro inizio davvero ad essere stanca, così rientriamo a casa. E’ alle sette che inizia a muoversi qualcosa… Una contrazione! Dopo un’oretta ne arriva un’altra, poi una leggera dopo 40 minuti… Qualcosa evidentemente si muove. Non abbiamo cenato: il pranzo di Natale ci ha saziato a sufficienza. Verso le 22.00 propongo a Andrea di andare a letto. Sono sicura che non dormiremo molto, ormai lo so, nascerai domani. Andrea però non ha voglia di andare a letto, così restiamo tranquilli a guardare la TV. Le contrazioni sembrano essersi arrestate. E’ quasi mezzanotte quando andiamo finalmente a dormire. A lui, come sempre, bastano pochi minuti per addormentarsi. Io, invece, sono pensierosa e un po’ agitata: domani sarò mamma!
E’ esattamente mezzanotte e quattro minuti quando arriva, all’improvviso, una contrazione più forte delle altre. E dopo 12 minuti un’altra e poi un’altra ancora… Guardo la radiosveglia per cronometrare. Dopo tre contrazioni decido di alzarmi. Sdraiata non mi sento a mio agio, fa male. Vado in sala e riguardo i libri sulla gravidanza e il parto. Mi rinfresco la memoria su come gestire le contrazioni, che ormai sono piuttosto regolari. Poi accendo la TV: la notte di Natale è davvero un disastro! Trovo Fantozzi e ne guardo un pezzo, ma io lo odio.
E’ ora di provare a fare il bagno. Dicono che se non è il momento le contrazioni passano. Non ne ho voglia, sono quasi le due di notte e non mi va di entrare in acqua. Penso anche al vicino di casa, ha la stanza proprio sotto il nostro bagno. Sentirà scorrere l’acqua. Gli darò fastidio? Nella vasca, le contrazioni non passano e non riesco a gestire il dolore, è scomodo. Mi asciugo e decido di buttarmi a letto. Vorrei riposare un po’, ma niente da fare… Quasi subito una forte contrazione mi fa sobbalzare. Mi siedo nel letto e butto in aria il piumone. Andrea si sveglia di soprassalto: “Cos’è successo? Quando è iniziato? Devi chiamare l’ospedale!!!”
Chiamo in ospedale e mi risponde un’ostetrica. Mi consiglia di fare un altro bagno e di restare a casa finché mi sento tranquilla. Io un altro bagno però non lo faccio. Non ho voglia e poi so già che le contrazioni non passeranno. Ne sono certa, nascerai oggi, il 26 dicembre.
Andrea si alza e mi chiede se ha tempo di farsi una doccia. Gli dico di prepararsi con calma, c’è tempo. Sono più o meno le cinque quando decidiamo di andare in ospedale. So che è ancora presto, le contrazioni sono solo ogni 10 minuti, ma voglio sapere se qualcosa si sta muovendo. Camminando verso la macchina ho un’altra contrazione e mi accascio a terra. Ho anche un po’ di nausea. Per fortuna il Civico è vicino. Parcheggiamo alle 5.21.
Il pronto soccorso ci dirotta subito al secondo piano dove troviamo l’ostetrica con cui ho parlato al telefono. Scendiamo al primo piano, dove ci sono le sale parto. Il monitoraggio mostra che effettivamente le contrazioni ci sono, anche se non sono ancora proprio regolari. Il tuo cuoricino batte forte. Sono dilatata di un solo centimetro. L’ostetrica chiama la dottoressa, dice che sarà lei a decidere se ricoverarmi o se mandarmi a casa. Ci vorranno ancora diverse ore… L’ecografia, tra una contrazione e l’altra, conferma che ho poco liquido amniotico e la giovane dottoressa decide che è meglio ricoverarmi. Per fortuna, non me la sarei sentita di tornare a casa. Il tuo peso è stimato 2.800 – 2.900 kg. Andrea chiede quanto sarà lungo il travaglio e la risposta è sempre la stessa: per un primo figlio si calcola un centimetro di dilatazione ogni ora. Sono le sei di mattina.
Nessuno sa che siamo in ospedale. Eravamo d’accordo di avvisare i nonni. Penso che li chiameremo verso le nove.
Andrea va a fare le famose etichette, mentre io vengo portata al secondo piano, camera 9. Nel letto di fronte a me c’è una mamma con il suo bebè, un maschietto nato il 24 dicembre. Stanno dormendo. Poco dopo le sette portano la colazione. Bene, io ho una gran fame. Mangio un pezzetto di pane, ma arriva una forte contrazione. Non mangio più, non ho più tregua. Fa male, e l’unico modo per stare meglio è stare inginocchiata a terra appoggiata al letto. Andrea mi massaggia la schiena, la pressione sui reni mi aiuta moltissimo. Non ha più tregua nemmeno lui. Saranno circa le sette e mezza quando si rompono le acque. Chiamiamo l’ostetrica. Il liquido è perfetto, limpido e chiaro. Mi dice di richiamarla quando le contrazioni saranno più forti o più ravvicinate. Non posso credere che diventeranno ancora peggio!
Torno al mio letto, ma passano solo pochi minuti e le fitte diventano davvero fortissime, mi viene da piangere. Controllare la respirazione non è facile. Dopo forse dieci minuti chiedo ad Andrea di richiamare. Penseranno che sono una sega, ma a me sembra di non poter più sopportare oltre. Voglio essere visitata, ho bisogno di sapere a che punto sono. Arriva un’altra ostetrica.
“Vuoi farlo qui sul letto?” mi chiede. Non ricordo cosa le ho risposto, so solo che lei ha continuato così:” No, non sto scherzando. Sei completamente dilatata, scendiamo in sala parto: sta per nascere.” Mi hanno portata direttamente col letto e il tragitto mi è parso lunghissimo. Ero disorientata e concentrata sulle contrazioni, difficili da sopportare in quella posizione. Sentivo già l’impulso a spingere, ma l’ostetrica mi diceva di non farlo. Una sensazione bruttissima!
“Cielo o acqua?”
“Cielo”
Eccoci fermi davanti alla sala parto “cielo”, tutta azzurra. Mi piace l’azzurro, da mesi lo ritengo il colore del mio parto. Oltretutto per l’acqua non c’è tempo così come non c’è tempo per pensare alla musica o alle altre piccole cose che avevo preparato per il parto. Mi trasferisco sul letto del parto e chiedo subito di sollevare lo schienale. Sono praticamente seduta. Non mi rendo conto di quanto succede intorno a me, Andrea mi ha poi raccontato che l’ostetrica e la dottoressa hanno preparato tutto con gran rapidità: il telo, gli strumenti, i guanti. Evidentemente non c’è tempo da perdere: è ora di spingere. Recupero tutte le forze, stringo forte le maniglie incorporate al letto e comincio a spingere… Sento già la testolina che è anche già visibile. Ci piacciono i bebé con pochi capelli, Andrea mi sussurra di chiedere se hai tanti capelli. Ne hai un po’, non tantissimi. Chiedo di poter toccare la tua testolina. E’ molliccia. Andrea dà una sbirciatina, ma non se la sente di toccare. Due, tre, quattro spinte. Ci siamo quasi. La testa scende, mi fa male, ma so che manca poco.
Andrea sostiene che siano bastate otto spinte. Io non lo so. Sono le 08.29 quando il tuo corpicino scivola fuori.Ti vedo, lì tra le mie gambe. Sei’ una bambina. Hai pochi capelli. Sei bellissima. Benvenuta, Arianna.
E BENVENUTA CHIARA
Per venerdì 5 febbraio hanno annunciato neve.
E’ giovedì e ancora non ti sei deciso/a a nascere. Siamo impazienti di conoscerti, ma tu non hai fretta. Ho provato di tutto, dall’olio di ricino alle passeggiate, dall’agopuntura all’omeopatia. Sono diversi giorni che ho un po’ di contrazioni, ma non sono ancora quelle che ti faranno nascere. Così dovrò presentarmi, come stabilito, all’ospedale Civico giovedì sera alle 20.00. Ceniamo a casa con la zia e la nonna e quando è ora di andare piango. L’emozione è forte, so che domani finalmente ti stringerò tra le braccia. Prima di partire tua sorella Arianna ti canta “nasci fratellino, esci sorellina!” e dà tanti baci al pancione: dolcissima sorellona che mi commuove.
Arrivati al Civico mi installo in camera, siamo alla numero 9, nel letto blu, esattamente lo stesso letto dove è nata tua sorella. La stanza è al completo, gli altri due letti sono occupati da due giovani mamme. Io sono tranquilla, col papà aspettiamo che ci portino a fare un monitoraggio.
L’ostetrica ci accompagna presto in una stanzina, mi attacca la flebo, tocca la pancia per sentire la tua posizione e posiziona i sensori per ascoltare il tuo cuoricino. I battiti sono insolitamente alti: l’apparecchio registra picchi oltre i 160 battiti.
L’ostetrica e la dottoressa sono un po’ preoccupate dal tracciato, che non è bellissimo. Così mi portano a fare un’ecografia per vedere come stai e per controllare la quantità di liquido amniotico.
Sembra tu stia comunque piuttosto bene, anche se il liquido non è tantissimo. Mi attaccano ancora i sensori per il monitoraggio e restiamo in attesa di sapere cosa succederà. Decidono di non fare niente fino a domattina. Così posso finalmente andare in camera a dormire. Sono agitata, non mi piace dover indurre il parto e spero segretamente che questa notte parta il travaglio. Sono dilatata di due centimetri. Cerco comunque di dormire per recuperare le forze che mi serviranno per farti nascere e per accudirti.
Arriva il mattino e ancora non si muove niente! Accidenti!
Fuori è tutto bianco, nevica. Verso le 8.00 mi mettono un ovulo, dovrebbe sostenere le contrazioni, che continuano a essere poco efficaci. Faccio colazione, poi l’ovulo iniza a fare effetto e io finalmente sento le contrazioni, che però sono leggere leggere. Mi tengono costantemente attaccata al monitoraggio. La dottoressa ha deciso che non mi metteranno un secondo ovulo: se il travaglio non parte l’appuntamento è per le 13.30 in sala parto dove mi daranno l’ossitocina. La mattinata trascorre tranquilla in attesa. Arriva anche il papà, che forse è più agitato di me.
Alle 13.30 scendiamo in sala parto: stanno facendo le pulizie, le finestre sono spalancate, si gela, c’è rumore e un gran disordine. Ci sistemiamo inizialmente nella sala azzurra, quella in cui è nata Arianna. Siamo in compagnia dell’ostetrica che mi posiziona le fasce per il monitoraggio (ho chiesto di avere quello che permette di muoversi, non ho nessuna intenzione di restare inchiodata al lettino). Appena pronte però l’addetto alle pulizie ci informa che la sala in fondo è pronta. Teoricamente è la sala di riserva, che viene utilizzata solo quando la sala verde e quella azzurra sono già occupate. Mi dicono che ci sistemiamo provvisoriamente lì, poi per il parto ci sposteremo. So che invece nascerai qui. La sala è piccola ma accogliente. Sugli armadietti ci sono incollati degli autoadesivi per bambini. Arriva una nuova ostetrica. Sarà lei ad accompagnarci. E’ giovane e dolce. La ricordo dal giorno in cui è nata Arianna: ci aveva proprio accolte lei in reparto, era di turno di notte.
C’è un problema col monitoraggio: il tracciato è sceso a 50 battiti e l’ostetrica chiama immediatamente il medico. La sento che con tono deciso dice “Un ginecologo in sala parto. Si, subito!”. Io e il papà siamo un po’ spaventati. E’ da ieri che il tuo cuoricino ci fa gli scherzi, ho paura che finiremo col fare un cesareo. Il medico arriva rapidamente, è serio e parla con uno strano accento. E’ accompagnato da una giovane “candidato medico”. Insieme all’ostetrica guarda il tracciato, soffermandosi a lungo sul punto in cui i battiti sono scesi. Lei gli spiega che è stato l’unico momento in cui si è preoccupata, ma il dottore è perplesso e sul suo volto leggiamo preoccupazione. Lui non ci piace, non è affatto rassicurante. Dopo qualche minuto decidono di procedere con l’ossitocina. Guardo l’orologio sopra la porta, sono proprio curiosa di vedere quanto ci vorrà! Sono le 14.31. Ho avvisato l’ostetrica che il mio primo parto è stato molto rapido. Sono dilatata di 3 cm. Le contrazioni partono subito e sono decisamente potenti. Non so come mettermi. Il papà mi fa pressione in fondo alla schiena, così mi allevia un po’ il dolore. Sono sul lettino, mi giro sul fianco. Terribile. Chiedo di provare a mettermi in ginocchio appoggiata al letto. Nemmeno così mi sento meglio. Provo il pallone. L’ostetrica è davvero una stella, mi aiuta, mi porta quello che mi serve, mi propone nuove posizioni. Provo a sedermi sulla sedia maya. Il papà mi sorregge da dietro, ho dei mancamenti, probabilmente è la pressione. Mi danno la mascherina dell’ossigeno. Durante le contrazioni me la spingo forte contro il viso anche se non sento alcun sollievo. Le contrazioni sono toste, ma ho un po’ di tregua tra una e l’altra.
Il dottore e la giovincella continuano imperterriti a fissare il tracciato. Il papà è preoccupato, ma non dice niente.
La sedia maya non è male, è lì che rompo le acque. L’ostetrica mi propone di visitarmi dopo la prossima contrazione, per verificare se effettivamente si è rotto il sacco. Io non sono proprio sicura perché è uscito davvero pochissimo liquido. Dopo qualche minuto però sento la testa.
- Sento la testa. E’ scesa la testa!
Sentivo la tua testolina spingere, mi sembrava di schiacciartela sullo sgabellino.
- Dopo la prossima contrazione ti visito, risponde l’ostetrica.
Ho la sensazione che lei non mi creda. E’ passato poco tempo, saranno più o meno le 15.00 e forse lei non crede possibile che mi sia già dilatata completamente.
- Mi viene da spingere! Insisto.
A fatica mi trasferisco sul lettino. Chiedo di sollevare lo schienale. Posiziono le gambe e mi attacco alle maniglie. Sono pronta.
- Chiamate la dottoressa. Sta per nascere.
Il papà chiede dove abita la dottoressa. Abita vicino, ci impiega solo una manciata di minuti ad arrivare in ospedale. Dentro di noi sappiamo però che non arriverà in tempo nemmeno questa volta.
Il papà dà una sbirciatina e vede la tua testolina.
L’ostetrica mi dice di provare pure a spingere. Spingo, spingo più forte che posso. Ti sento. Mi fa male, ma so che manca pochissimo. Fremo dalla voglia di vederti, di abbracciarti.
Arriva un’altra contrazione e spingo di nuovo. L’ostetrica controlla, mi incoraggia, dice che stiamo andando benissimo. Spingo fortissimo e la testa passa. Continuo a spingere e sento scivolare il tuo corpicino. Credo siano bastate quattro spinte. Sono le 15.19.
- E’ una bambina!
Il papà libera la tensione e piange. Io sono felice, sorrido e mi appoggio a lui. Tu sei bellissima, ti sbirciamo mentre l’ostetrica e il dottore ti guardano. Arriva anche la dottoressa. Ti fanno i primi test mentre sei ancora lì tra le mie gambe. Stai benissimo. La dottoressa mi aiuta ad espellere la placenta, poi l’ostetrica me la mostra per bene. Sembra un’enorme bistecca di fegato.
Credo che il papà ti abbia tagliato il cordone, ma i miei ricordi sono offuscati dalla gioia della tua nascita.
Ti mettono subito tra le mie braccia, cerchiamo di attaccarti al seno per la tua prima poppata. Sei morbidissima. Bellissima. Con pochi capelli. Restiamo a lungo così, ancora non ti abbiamo né pulita né misurata.
C’è una grande pace e sta ancora nevicando. Benvenuta, Chiara.
Gea, collaboratrice esperta RSI