“Se vogliamo raggiungere una vera pace in questo mondo, dovremo incominciare dai bambini.”
Mahatma Gandhi

Lutto prenatale

Testimonianze

Lutto prenatale

 17.1.2017

 Carissimi Dottori,

 Vi scrivo queste due righe per potermi esprimere meglio rispetto all’esperienza vissuta pochi giorni fa in ospedale. Non vorrei che quanto sia successo rechi disagi, ma al contrario spero sia spunto di riflessione sulle necessità di alcuni genitori durante questa perdita.

Due anni fa, terminando i miei studi alla facoltà di psicologia di Losanna, ho deciso di scrivere ed approfondire un lavoro di ricerca sul lutto perinatale. Avevo già tre bambini e non avrei mai pensato che un giorno avrei io stessa vissuto questa esperienza. Questo lavoro mi ha permesso di capire più da vicino cosa accade nel cuore e nell’animo delle persone confrontate a questo dramma.
Che sia di sei settimane, di tre mesi, di sei mesi o nove mesi di gravidanza, questa perdita perinatale è molto difficile da sopportare perché nella gioia di una vita nascente si è confrontati al dramma inatteso della morte. I due estremi della vita si abbracciano lasciando un grande vuoto.
Dopo aver vissuto due volte consecutive un aborto spontaneo, vivo ancor più da vicino, in primo piano, la realtà della perdita perinatale, questa morte senza traccia che difficilmente trova un riconoscimento sociale. Vorrei poter dare un nome a questi miei bambini e poterli sentire parte integrante della nostra famiglia. Offrir loro un riconoscimento civile degno del loro valore umano. Tante volte mi domando come si fa a non considerare questi piccoli, con un’età invisibile al mondo, come i propri figli, se quando poi li si perde si sta tanto male. Ho riflettuto molto in questi giorni e credo che considerarli per quello che sono realmente facilita l’accettazione di questo lutto e di tutta questa esperienza. Razionalmente, considerarli solo un ammasso di cellule di qualche millimetro crea uno sguardo sterile su quello che realmente accade. Uno sguardo privo di sentimenti e di amore per l’essere umano e la sua origine. Credo che la difficoltà del lutto perinatale sia rinforzata da questo silenzio e da questa non riconoscenza di quello che veramente significa un embrione o un feto per una madre e un padre, ma soprattutto per ognuno di noi. Questo silenzio non dovrebbe esistere negli ospedali, nei cuori dei professionisti che lavarono e operano in questo settore. È importante validare e sostenere la sofferenza di questa perdita a chi ne presenta il bisogno ed assicurare le cure e il sostegno necessari. Questo silenzio ha bisogno di una voce soprattutto presso il personale medico che assiste sovente a questa perdita inattesa. Sicuramente non siamo tutti uguali nel modo di voler vivere il dolore della perdita perinatale. Alcuni genitori non sentono il bisogno di vivere la perdita in questo modo. Per questo il lutto perinatale è un lutto molto singolare e credo sia molto importante che il personale medico possa aprirsi ai diversi modi di voler affrontare questa situazione.
Una persona confrontata a questa esperienza non sarà più la stessa in seguito, e questo tabù sociale obbliga spesso i genitori a vivere il lutto nella solitudine. Basterebbe una presa di coscienza profonda per cambiare le cose e offrire nella semplicità uno sguardo di verità e di amore ai genitori. Perché l’amore dev’essere il primo sentimento che dovrebbe essere offerto loro. E per voi medici, l’amore per l’essere umano e la vita dev’essere la prima preoccupazione.

 

Quando 9 mesi fa ho vissuto per la prima volta un aborto spontaneo, scelsi di stare a casa per avere l’intimità di quel momento particolare ed avevo bisogno di tempo per salutare quella piccola vita che per breve ci aveva accompagnati. Questo secondo aborto mi ha lasciato senza parole perché non credevo potesse accadermi di nuovo. Per questo ho deciso di eseguire subito un controllo medico per scartare ogni dubbio. Quando le perdite sono aumentate, avevo sempre nel cuore la speranza di ritrovarlo in vita e quindi mi sono recata nuovamente in ospedale. Una volta in ospedale la situazione era chiara e tutto era concluso, purtroppo il nostro piccolo aveva già cominciato in suo viaggio. Avevo nel cuore un grande dispiacere. Questa vita che da poco ci aveva raggiunti, dovevamo lasciarla andare. È stato del tutto normale e naturale per me fare la richiesta di portare a casa quello che era stato tolto dal mio corpo. Questa richiesta, probabilmente inusuale, mi è parsa subito incompresa e mi sono sentita quasi ridicola ed in imbarazzo. Mi sono pentita immediatamente di essere andata in ospedale, di aver agito contro i miei valori e di aver accettato infine la decisione di lasciare mio figlio per delle analisi. Senza che me ne rendessi conto veramente questo accaduto mi ha distrutto il cuore e mi sembrava di non farcela a vivere pienamente il mio lutto perché mi sentivo vittima di un’ingiustizia, di un’incomprensione profonda. Il giorno seguente ho deciso che avremmo dovuto recuperare ciò che ci apparteneva. Nonostante la sofferenza di rivedere ciò che sarebbe dovuto diventare nostro figlio, il semplice fatto di riaverlo con noi mi ha colmato il cuore ed ho sentito che era la cosa giusta.
Sono certa che nulla accade per caso, e quello che ho vissuto in ospedale è stato per me molto importante perché mi ha permesso di dare un senso alla mia storia. Quello che sto facendo con voi, non lo faccio per me, perché sono sicura che onorare la vita umana sia molto importante per ognuno di noi. Questa lettera l’ho scritta per chi verrà dopo di me, per tutte le donne che entreranno nel vostro studio e che per una ragione o per un’altra perderanno il loro bambino, perché possano ricevere quello di cui hanno davvero bisogno e che voi possiate spiegare loro la possibilità di tornare a casa con ciò che gli appartiene oppure no, nel più grande rispetto e dignità.

 

Sara Caverzasio Rechsteiner