Testimonianze
LA NASCITA DI AGATA
È la sera del 30 aprile, un lunedì. Il mio compagno Fabio e io siamo tranquilli, il giorno dopo è il 1° maggio, è festa e avremo la possibilità di riposarci un po’ insieme, aspettando il grande evento.
Ho superato il termine da tre giorni, è strano, ho sempre pensato che sarebbe successo prima, certamente non dopo. Non sono agitata ma non vedo l’ora che il bimbo nasca, non vedo l’ora del momento del parto, ho voglia di scoprire questa cosa che non conosco, ho voglia di scoprire se sarà come cento volte l’ho immaginato. Sono forse un po’ preoccupata perché al monitoraggio di stamattina la dottoressa mi ha fatto presente che la placenta è già un po’ invecchiata e il liquido amniotico al limite inferiore della « normalità ». Vuole rivedermi mercoledì mattina e poi si deciderà sul da farsi. Ho paura di questa decisione, ci tengo così tanto a poter stare a casa, nell’intimità della nostra casa e mi spaventa l’idea che tutto quello che desideriamo venga sostituito da un parto indotto in ospedale. Anche se la levatrice mi ha tranquillizzata dicendomi che i medici sono sempre un po’ troppo precisi nelle loro valutazioni, l’eventualità di questa possibilità mi fa sperare nell’inizio del travaglio il più presto possibile.
Sul divano ci rilassiamo e ci coccoliamo, Fabio mi fa un po’ di fotografie alla pancia, ridiamo : è davvero gigantesca! Chissà come sarà grande e forte questo pulcino quando deciderà di uscire. Ho di nuovo una fitta all’utero, lunga e dolorosa, come ho già avuto spesso negli ultimi giorni, quindi aspetto che passi e cerco di non illudermi che sia il segnale dell’inizio del travaglio. Un’ora dopo ne arriva una seconda, ma penso che è davvero troppo lunga e irregolare per essere una vera contrazione. Poi più nulla. Ce ne andiamo a letto, una strana sensazione comincia a farsi strada ma cerco di non pensarci, non voglio illudermi che questa sarà la grande notte e poi rimanerci un po’ male se invece non succede niente. Ci addormentiamo, ma come sempre ultimamente mi sveglio per andare in bagno. Sono circa le 2.00.
Anche Fabio non sta dormendo e quando nella mia pancia si sente un rumore di strappo, o di schiocco, una specie di « tak », lo sente anche lui. Ci guardiamo per un istante ma non succede niente. Mi alzo assonnata per andare in bagno e quando mi siedo qualcosa comincia a scorrere, qualcosa di solido si stacca. Mi alzo, guardo e vedo il tappo mucoso, chiamo Fabio e grido « ci siamo » ! Il liquido dopo un po’ si ferma. Decidiamo di chiamare la levatrice, anche se non mi pare di aver avuto ancora delle vere contrazioni, giusto per avvertirla. Lei ci consiglia di provare a dormire ancora un po’ e di aspettare sereni l’inizio del travaglio, meglio recuperare un po’ di forze per il grande lavoro che ci aspetta. Restiamo d’accordo che l’avremmo chiamata quando le contrazioni sarebbero state ogni cinque minuti circa e regolari. Proviamo a rimetterci a letto ma, ci chiediamo, come si fa a dormire sapendo che fra non molto avremmo conosciuto il nostro bimbo? Decidiamo quindi di preparare la casa per il parto, armeggiamo con mollettoni, traverse e altro per proteggere letto e divano, accendiamo le candele e mettiamo nel fornellino brucia essenze l’olio essenziale. Mentre cammino in corridoio una grande quantità di liquido amniotico esce dalla mia pancia ; è una situazione che ha un ché di comico : io rido di gioia, Fabio mi corre dietro con la carta assorbente e il nostro micio, vuole leccare il liquido sul pavimento. Un piccolo momento di caos e ilarità. Intanto comincio a sentire le contrazioni più forti, sono ancora molto indefinite e non riesco a capire ogni quanto arrivano, so solo che durano tantissimo e penso ancora che non sono quelle vere. Fabio mi prepara un bagno caldo, al buio, solo con la luce delle candele. Non riesco a sopportare la luce elettrica, mi riporta in una realtà che invece sento di dover abbandonare… Prende la poltrona e si mette accanto alla vasca. Intanto le contrazioni si fanno sempre più regolari e ravvicinate, io ho ormai perso la cognizione del tempo e comincio a cantare le vocali. Non lo decido, escono per conto loro, spontanee e vibranti, mi aiutano con il respiro. Sto bene, scivolo in un’altra dimensione sempre di più ma posso ancora tornare indietro se voglio, con la mente, e comunicare con Fabio. All’improvviso, nel giro di quello che mi sembra davvero poco tempo, ci rendiamo conto che tra una contrazione e l’altra passano solo 2 minuti e mezzo. Penso che è il momento di uscire dalla vasca e Fabio mi aiuta ad infilarmi la camicia da notte. Non ho la più pallida idea di che ore si sono fatte ma decidiamo di chiamare di nuovo la levatrice. Le spieghiamo la situazione e lei ci risponde che si sarebbe preparata e sarebbe arrivata. Da questo momento io non esisto più come corpo, come individuo in questo tempo e questo luogo. Non ho più bisogno della vista né di prendere delle decisioni, tutto va da sé, qualcosa prende il sopravvento sulla mia volontà. Le vocali acquistano potenza, non sono io ad emetterle, ma una forza che comprende tutto, me, il bambino, Fabio, la casa, il mondo, l’universo. Anche il dolore si fa intenso ma scorre fuori assieme alla mia voce. Sento il bisogno di muovermi, di camminare. Mi spoglio completamente, mi sento incastrata nei vestiti. Riprendo a camminare, avanti e indietro, e quando la contrazione è davvero forte mi lascio cadere sulle ginocchia. A volte comincio a percepire di dover spingere, una sensazione stranissima, che non posso contrastare in nessun modo con la volontà. Capisco che l’unica cosa che posso, che voglio fare è lasciarmi andare e farmi guidare dal piccolo e dal mio corpo. Posso sentire che Fabio è sempre accanto a me e gliene sono silenziosamente ma immensamente grata. È come se esistessimo solo noi tre. Quando la levatrice arriva me ne accorgo appena, ma posso sentire la sua calma e la sua tranquillità, mi fa sentire bene, sono felice che lei sia qui con noi. Mi chiede se può visitarmi tra una contrazione e l’altra e io riesco a stendermi sul letto. Mi dice che sono già a dilatazione completa e che, se lo sento, posso tranquillamente cominciare a spingere. Lei avrebbe chiamato la seconda levatrice che poco dopo arriva, ma io non la vedo subito, non vedo più niente, sono emozione pura, in connessione con il mio corpo, ascolto il mio bambino che vuole nascere, i suoi movimenti, la forza e il coraggio che anche lui ci sta mettendo. Sento però che sono entrambe presenti e osservano, angeli custodi, così calme e pazienti, mi lasciano fare, al nostro ritmo e secondo il nostro modo di essere. Mi trasmettono forza e fiducia.
Ad un certo punto smetto di camminare, mi fermo in corridoio, proprio davanti alla porta della camera, mi appoggio con la testa e le braccia sul mobile davanti a me e all’arrivo della contrazione comincio a spingere per poi sprofondare di nuovo, nelle pause, in un luogo allo stesso tempo interiore e infinito. Nelle pause mi sento cantare, sussurrare e muovere, ma di nuovo non sono io a deciderlo. Fabio e le levatrici mi sostengono e mi spronano, mi dicono che manca poco e che ce la farò, che sono forte. Comincio però a sentirmi a tratti esausta e quando mi lascio andare a questa sensazione il dolore si fa molto forte e io dico loro che non ce la faccio. Subito mi riprendo però, lo so anche io che non è possibile che non ce la faccio, ce la faccio sicuramente, perché lo voglio e perché devo aiutare il mio bambino, che da solo non ce la può fare. Questo pensiero mi aiuta tantissimo, lo voglio tenere stretto ma a volte scivola via. Mi dicono che si vedono i capelli e posso sentire dal tono emozionato delle loro voci che è davvero così. Riprendo le forze. Non so perché ho scelto proprio quel posto e quella posizione, ma per le levatrici accovacciate per terra e per Fabio che vuole restarmi vicino è davvero scomodo, stretto e senza possibilità di movimento, così una levatrice mi chiede se non voglio spostarmi sul letto. Dico di si e loro mi aiutano. Sul letto sento la necessità di riprendere la posizione di prima per poter continuare a spingere. Le pause si fanno sempre più lunghe, minuti durante i quali sprofondo in un rilassamento quasi totale, ho bisogno di quel tempo per riacquistare le forze, altrimenti non ce la posso fare. E il piccolo lo sente e mi regala questo tempo prezioso. Poi la sento la sua testolina, la sento uscire per un momento, ma la contrazione passa e la sento rientrare. Mi sento allo stesso tempo emozionata e scoraggiata, per un paio di volte esce e rientra subito dopo. Sento la mia voce dire “no, no, non rientrare, ti prego, non rientrare” ma non riesco ancora a spingerla fuori del tutto.
In quest’attimo, proprio prima della nascita, credo davvero di non farcela più, ma il mio compagno e le levatrici mi aiutano, mi ricordano più volte che sono forte e che manca davvero poco, molto poco. Sento bruciare. So che basta un ultimo sforzo perché il piccolo possa nascere, ma senza la contrazione non riesco a spingere. Ad un certo punto la testa rimane fuori e, penso perché ho davvero bisogno di un ultimo incoraggiamento, grido “non ce la faccio” e subito dopo un’ultima potente contrazione mi permette di raccogliere tutta la forza che mi è rimasta e spingere, spingere, spingere. Sento il suo corpo scivolare fuori, in armonia con le mie spinte, una sensazione meravigliosa, indescrivibile. E poi la sua vocina e Fabio che mi dice che è una femminuccia.
Quante emozioni, quanto amore, quanta forza.
Benvenuta piccola Agata a questo mondo, mamma e papà ti amano già alla follia. Tutto il dolore e la stanchezza spariscono come per magia, mi giro, la accolgo sul mio petto e i suoi occhioni incrociano i miei, così profondi e consapevoli, il primo incontro… Il tempo si è fermato e in quell’istante ho potuto vedere l’immensità della vita.
Sono le 8.34 di mattina, le candele sono ancora accese, i primi raggi di sole entrano dalla finestra. Non dimenticheremo mai questa notte speciale, l’esperienza più immensa della mia vita.
Agata pesa 3,750 grammi e è lunga 53 centimetri. Ed è bellissima, un vero miracolo.
Una volta che ha smesso di pulsare e che tutti eravamo tranquilli, Fabio ha tagliato il cordone ombelicale. Subito dopo sono tornate le contrazioni ed è nata anche la placenta.
Di nuovo il tempo ha smesso di avere un significato e abbiamo potuto perderci tutti e tre ognuno nell’altro, cominciare a conoscerci e scoprirci, lasciando in sospeso questa magia e tutte le emozioni accumulate fino a quel momento.
Tamara, filmmaker & photographer